IL SOGNO DI UNA COSA

"Avevo sbagliato tempo. Le onde arrivano in serie di sette.
La settima onda è grossa abbastanza da riuscire a portarci fuori vincendo la forza delle altre..."

venerdì 2 febbraio 2007

Buio in sala, va in scena l'estinzione.

Londra, anno 2027. Una bomba esplode in pieno centro mandando in frantumi vetrine e corpi umani, mentre alla bbc passa la notizia della morte di Diego Ricardo, l'uomo più giovane della Terra. Aveva 18 anni, 4 mesi, 20 giorni, 16 ore e 8 minuti.
Inizia così Children of men - I figli degli uomini, il nuovo film di Alfonso Cuaròn, regista messicano già noto al pubblico per il cult Y tu mama tambien e Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice inglese P.D. James, racconta una storia apocalittica, catastrofista, avvincente e cruda, non troppo lontana dalla realtà, e comunque impossibile definire "fantascientifica" o "fantapolitica" per i temi che affronta e per la realtà quotidiana in cui si vive dopo l'11 settembre.
Il mondo è ormai giunto al punto di collasso; l'ambiente e l'intera biosfera distrutti; l'umanità è sul viale del tramonto, sta per estinguersi, da 18 anni non nascono più bambini e non si riesce a comprendere le cause dell'infertilità, dovuta forse a mutazioni genetiche prodotte dall'inquinamento; guerre, violenze e caos dilagano ovunque; consapevoli della fine imminente, c'è chi resta aggrappato alla propria vita e chi lotta con tutti i mezzi possibili per la libertà, per la nuova società, anche se priva di futuro. Solamente l'Inghilterra sembra sia riuscita a conservare una specie di "ordine", fondato sulla coercizione, sull'esercito nelle strade, sullo Stato che sa tutto, vede tutto e controlla tutto, sulla drastica limitazione delle libertà personali e su una ferrea politica xenofoba, in seguito alla quale tutti i profughi e i migranti che, scappando da fame e morte nei loro paesi d'origine, cercano di entrare nel Regno Unito vengono segregati in campi di concentramento, sorvegliati a vista coi cani e dito sul grilletto, rinchiusi in gabbie ed infine espulsi.
Una Londra sporca, grigia e asfissiante, che assomiglia di più a Beirut (o Bagdad, o Belgrado, o ...), assediata da militari, fanatici religiosi e gruppi eversivi armati, percorsa dalla voce anonima degli altoparlanti che invitano a denunciare gli immigrati e chiunque costituisca motivo d'allarme per lo status quo, fa da sfondo alla vicenda di Theo - Clive Owen, ex-attivista politico, ora burocrate di stato, coinvolto dalla sua vecchia compagna Julian - Julianne Moore nel salvataggio e nella protezione di una donna rimasta misteriosamente incinta che potrebbe portare un barlume di speranza (incerta) per la continuazione della Specie. Tra città dall’immagine post atomica, dovranno raggiungere la costa e consegnare la ragazza al Progetto Umano, una non meglio precisata organizzazione scientifica, evitando le pallottole dell' esercito ed il doppio gioco del gruppo armato dei "Pesci", che vorrebbe utilizzare la madre e il bambino a scopi propagandistici.
Il film, lontano dall’epica trionfante e dallo spettacolarismo che quasi sempre accompagna pellicole di questo genere, ruota attorno al personaggio del bravissimo Owen, classico anti eroe dal volto malinconico e triste, oramai privo di speranze, senza più nulla da perdere e con una tragedia alle spalle e molte incognite sul futuro. Sempre in scena, inseguito in continuazione dalla telecamera del regista che si muove sul set come se si trovasse sul campo di battaglia vero e proprio, eppure sempre sfuggente a pose e inquadrature da divo. Lo affianca un sempre grande Michael Caine, qui nel ruolo di un anziano ex ‘figlio dei fiori’ che con la sua compagna si è ritirato ed isolato in un mondo tutto suo. Vive nel passato, pur non rinunciando né ai suoi ideali né ai suoi princìpi, ma rappresenta l’inesorabile fuga individuale ed esistenziale da un presente troppo pesante per essere sopportato. Gli fa da opposto Julianne Moore, donna tutta d’un pezzo, con obiettivi ed idee chiare in testa, che sa quello che vuole e come ottenerlo, battendosi in prima linea.
Rimarranno memorabili, oltre che da applauso, i due piani-sequenza delle azioni di guerriglia, dove lo spettatore smette di essere tale per entrare a far parte della scena, anzi, a dirigerla e seguirla, come l’occhio di un reporter freelance o come, meglio ancora, il Kinoglaz, il cine-occhio vertoviano, l’occhio meccanico che osserva e registra la realtà per come essa si mostra. Per intenderci, si tratta di un'inquadratura piuttosto lunga, caratterizzata da un'ininterrotta continuità temporale, che svolge di per sé il ruolo di un'intera scena. Come la
profondità di campo, il piano sequenza rifiuta il montaggio sfruttando la moltiplicità dei piani all'interno della singola inquadratura e rispettando il tempo del mondo reale. E’ cinema che "si fa vedere senza farsi vedere". Nel piano sequenza il linguaggio del cinema trova compiutezza nella complessità del movimento della macchina da presa, la cui dinamica (o staticità) è già montaggio intrinseco, organizzazione del racconto, semplicità di costruzione estetico-narrativa e ricchezza compositiva di più scene-inquadrature che si fondono in un'unica scena-sequenza.
Completano il quadro le splendide location modificate con la computer grafica, in particolare quella della ex Battersea Power Station, ora galleria di arte Tate Modern, con citazione dei Pink Floyd, ed un’insolita colonna sonora che unisce passato e presente, King Crimson, Deep Purple, Donovan, John Lennon, Battiato, Kills, Libertines, e la colonna sonora originale di John Tavener.
In precedenza ho parlato di speranza incerta perché, in linea teorica, resta poi da vedere se la madre presenta qualche caratteristica genetica tale da essere "sfruttata" o "replicata" per sconfiggere la sterilità di miliardi di altre donne. Altrimenti la nascita del bimbo rimarrebbe un puro caso. Questa forse è l’unica debolezza di una sceneggiatura senza sbavature, che alterna momenti di pura tensione ed azione a sprazzi di ilarità ed umorismo inseriti nei momenti giusti. Cuaròn non ci dice come andrà a finire per il bambino e sua madre, e in fondo per lo spettatore non è così importante. Piuttosto, con mirabile regia, costruisce un film che parla al cuore, ma soprattuto alla testa, e ci costringe a riflettere su quello che oggi è il mondo e su come potrebbe essere tra non molti anni, se si continua a battere sempre sullo stesso tasto, se non si cambia rotta, se ci si lascia annientare dallo stesso nostro sistema che oramai, esaurita la forza dirompente che in passato aveva rivoluzionato il mondo, entrato nella sua fase terminale, è capace di portare, attraverso i suoi "prodotti" (che siano guerre nucleari o vecchie e nuove patologie tipiche del nostro tempo non fa differenza) davvero all'estinzione la nostra specie e non solo. Ci ha mostrato come per raccontare il più agghiacciante dei futuri basti enfatizzare e prolungare nel tempo i democratici scenari del nostro stato di cose attuale.

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"Il nostro motto dev'essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l'analisi della coscienza non chiara a sé stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa..." Karl Marx