IL SOGNO DI UNA COSA

"Avevo sbagliato tempo. Le onde arrivano in serie di sette.
La settima onda è grossa abbastanza da riuscire a portarci fuori vincendo la forza delle altre..."

lunedì 26 febbraio 2007

In Oscar we trust!

Martin finalmente ce l'ha fatta. Alla sua sesta (mi sembra) nomination. Era ora, o forse no. Forse avrebbe dovuto conquistarlo già in passato e per altri film veramente "suoi" (The Departed gli è stato commissionato dalla produzione, e poi è un remake di un film di Hong Kong di qualche anno fa). Io non l'ho visto e pertanto mi astengo dal formulare ogni commento e critica. Ma dico, se proprio si voleva premiare Scorsese, morsi dai sensi di colpa per non averlo fatto prima, bastava consegnargli la statuetta d'oro da quattro kili e mezzo come miglior regista! E premiare come miglior film Babel, autentico capolavoro realizzato da Inarritu a chisura della sua triologia! Come può una pellicola del genere, che supera per intensità emotiva e profonda umanità i precedenti Amore Perros e 21 grammi, passare quasi inosservata?

Capiamoci, a me degli Oscar frega poco, lo trovo un premio "scadente" e commerciale, dettato per lo più dalle solite leggi mercantili. Però c'è da dire che da grande risalto all'opera vincitrice, la amplifica, la diffonde, soprattutto tra le grandi fasce cosidette "popolari". Per questo facevo il tifo per Babel. Appena uscito, in Italia lo passavano poche sale e di conseguenza è stato visto da ben poca gente. Io stesso per vederlo l'ho scaricato da Internet. Una vittoria all'Oscar magari l'avrebbe rilanciato e gli avrebbe garantito una maggiore diffusione. Perchè un film che ti sbatte in faccia la realtà fatta di istituzioni dis-umane, manipolazione mediatica, fatti distorti, tragedie e incomunicabilità tra esseri umani proprio quando sono legati tra loro a scala globale in maniera sempre più salda va visto e rivisto. Più è veritiera e profonda la rappresentazione della realtà, più essa conferisce a prodotti industriali come i film il valore e il significato di "opera d'arte".

Vabè, si sa che gli Oscar ed Hollywood in generale sono tutto un "magna magna", che sotto c'è una mafia degna di questo nome... basta pensare alle 13 nomination e sette Oscar che si aggiudicò Shakespeare in love. Ma quando lo scorso anno vinse un film come Crash-Contatto fisico sembrava che qualcosa stesse cambiando, a cominciare dalle scelte dei membri dell'academy. La premiazione di quest'anno, a mio modesto parere, ha rimesso le cose al loro posto, e, parafrasando il poeta Augusto Monterroso, dico che il dinosauro è ancora li, e si che ci siamo svegliati.

martedì 13 febbraio 2007

Vista la ricorrenza


"San Valentino è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline di auguri per far sentire di merda le persone."

Questa è la bellissima frase pronunciata da Joel-Jim Carrey in quel bellissimo piccolo capolavoro del regista Michel Gondry che è "Eternal sunshine of the spotless mind", purtroppo conosciuto ai più come (scusate) "Se mi lasci ti cancello".

Mai altra frase rese meglio l'idea.

A proposito...

...se c'è l'inchiesta giudiziaria sull'eversione, vuol dire che l'eversione non c'è. Altrimenti lo Stato non si armerebbe di codice penale, ma di ben altro. E poi di quale eversione si sta parlando? Quella di chi gioca ancora alla lotta armata pensando di avere dietro di se la classe proletaria?

"Affrontare il fenomeno del terrorismo con metodo diverso da quello marxista significa soprattutto due cose: rispondere secondo l'ideologia dominante, cioè quella borghese, oppure secondo ciò che dicono i terroristi di sè stessi. L'ultima ipotesi può non essere diversa dalla prima, soprattutto quando si colora di risvolti resistenziali e partigianeschi. Solo affrontando il problema con il metodo marxista si può evitare la palude moralistica (nei suoi aspetti diversi, perbenista o "eversiva"), che la borghesia ha tutto l'interesse a coltivare soprattutto in seno al proletariato, suo avversario di classe. [...]."
Il terrorismo, 1978
P.C.Int.

sabato 10 febbraio 2007

Contro tutti i nazionalismi

10 febbraio.Giornata del Ricordo delle vittime delle foibe, uccise nell'immediato dopoguerra nella penisola istriana dalla polizia titina.

Sorvolo sulle speculazioni elettoral-politiche che i partiti della destra nostrana fanno in concomitanza di tale ricorrenza; sono pelose e moralistiche, come del resto lo sono quelle dei partiti della sinistra che cavalcarono e cavalcano tutt'oggi lo sterminio sistematico degli ebrei (il grande alibi) per puro tornaconto elettorale senza capire nulla della questione.

Quelle terre di mezzo tra la penisola italica e i balcani sono sempre state vissute da gente di diversa nazionalità, in prevalenza italiani e slavi. Chiunque sia nato tra Trieste e Gorizia sa che prima del fascismo quel confine non esisteva, né sulla carta, né soprattutto nelle menti e nella vita quotidiana di chi lì viveva. Italiani, sloveni, croati si mescolavano, facevano gli stessi lavori, abitavano le stesse case, venivano sepolti negli stessi cimiteri. E i lavoratori tutti leggevano lo stesso giornale bilingue e combattevano per la stessa causa. Poi venne il ventennio e l'italianizzazione forzata di quelle terre, la guerra e le persecuzioni, i campi di detenzione per i civili jugoslavi, le stragi, i paesi bruciati. Quando la guerra finì, quei territori vennero assegnati alla Yugolslavia vincitrice che non tardò ad emulare le azioni dell'Italia fascista servendosi delle foibe. Il nazionalismo dei comunisti (sic!) titini si manifestò accompagnato da un forte sentimento di rivincita. Come sempre, come in passato, a farne le spese fu in larga parte gente che non c'entrava niente, presa tra l'incudine e il martello dei due opposti nazionalismi.

"Deve stare ad infinita vergogna dei traditori del comunismo, se per istigazione di odio nazionale e per il gioco della infame e venale politica degli Stati borghesi, dei governi di quelli di secondo rango - che parlano di nazione solo per mettere la nazione all'incanto - è avvenuta divisione ed è perfino scorso sangue fraterno tra lavoratori triestini. E' in queste frange di incontro dei popoli, in queste zone bilingui, che l'internazionalismo proletario deve fare le sue prove rifiutando le bandiere di tutte le patrie per quella unica e rossa della rivoluzione sociale."
Il proletariato e Trieste
Da Battaglia comunista, n. 8 del 19 aprile 1950
Link:

venerdì 9 febbraio 2007

Tutte le miserie della piccola borghesia

Ne ha tante, questo è innegabile, ma una più delle altre salta agli occhi. Dopotutto il razzismo non è una ideologia, una fede in cui credere, un sentimento primordiale, nè tantomeno una aberrazione dello spirito come vorrebbe farci credere qualcuno. No, niente di tutto ciò. Semplicemente la reazione delle classi di mezzo, della piccola borghesia appunto, al "peso del mondo che la schiaccia", alla pressione economica, al "male di vivere quotidiano", all' insicurezza sociale , alla paura della perdita del lavoro e di tutto ciò che si è arrivati a possedere in una società sempre più precaria e in decomposizione. E allora cosa c'è di meglio che far ricadere le "colpe" di tutto cio' su qualche gruppo di persone ben definito, qualche minoranza etnica da usare come uno spauracchio? La Storia ce lo insegna. Ad esempio con l'olocauso degli ebrei.

Ma andiamo con ordine, anzi, andiamo in America e precisamente al confine U.S.A.-Messico. Recita il Corriere: "Usa: la resurrezione del Ku Klux Klan: l'organizzazione razzista ritorna a fare proseliti sia tra chi teme gli islamici che tra chi osteggia l'immigrazione clandestina e sul confine si verificano i primi attacchi degli incappucciati ai clandestini". Storia vecchia. Già da tempo si sapeva che la sorveglianza dei terreni a ridosso del confine (su cui nel frattempo è stato edificato un muro ben più lungo del suo "nonno" berlinese, che lo zio Sam smaniava giorno e notte di abbattere, e di cui tutti si fottono) era stata affidata a polizie private e vigilantes spesso reclutati proprio tra le vecchie file del (sembrava) disciolto movimento dei cavalieri bianchi. E non passa settimana senza che avvengano sparatorie a furgoni pieni di latinos e caccie al clandestino nel deserto, braccato come un animale. Dice l'F.B.I.: "La resurrezione del Ku Klux Klan è inquietante. Sfrutta la psicosi dell’assedio causata dalla guerra al terrorismo per seminare l’odio. Per un biennio dopo la strage delle Torri gemelle di Manhattan i cosiddetti cavalieri bianchi fecero proseliti tra chi temeva gli islamici. Ora li fa tra chi vede negli immigrati clandestini un pericolo per il proprio posto di lavoro, un fattore di inquinamento della società." Appunto, come volevasi dimostrare. Lo stato di cose attuali esaspera gli individui che lo subiscono ed il razzismo è una conseguenza sociale della realtà materiale avente conseguenze tragiche il più delle volte.

Veniamo alla fine della commedia. La situazione dovrebbe essere chiara anche al lettore più disattento. Abbiamo un confine tra i più militarizzati e controllati della Terra, con tanto di muro e dita sui grilletti.
Tutto ciò non ha impedito però ad un giovane architetto messicano, al suo staff e alle autorità competenti di partorire una nuova creatura investi-e-valorizza soldi, da edificare proprio su quei luoghi (per la precisione a Ciudad Juárez - El Paso): una struttura a ponte, che scavalchi materialmente e simbolicamente il confine e che unisca i due stati (e ovviamente i due popoli, come la retorica buonista obbliga a dire), contenente un museo dedicato all'immigrazione.

Come è bello il mondo della fantasia! Magari faranno passare l'edificio attraverso una qualche fessura del muro. Magari esporranno pure qualche pallottola ancora calda. O magari torneranno coi piedi per terra, a guardare in faccia la realtà.

lunedì 5 febbraio 2007

NOI è meglio di ME

La casa editrice inglese Penguin ha lanciato ieri il suo primo progetto editoriale basato sulla scrittura collaborativa in rete; l'esperimento, intitolato "A million penguins" offre a tutti gli utenti la possibilità di partecipare alla creazione di un romanzo. Alla base del progetto vi è lo stesso presupposto di Wikipedia, l’enciclopedia collaborativa online, ovvero partecipare per creare un opera collettiva. Inutile dire che il "lavoro" è volontario e, come tale, non è pagato. Si scrive per la passione, per la voglia di scrivere, di partecipare ad un qualcosa che alla fine sarà anche tuo, anche se non ne avrai la proprietà intellettuale (assurda cosa, il copyright), come di tutti coloro che hanno collaborato al risultato finale. Punto.
(Siamo uomini, no? Oppure il nostro cervello va a gettoni? I suoi neuroni si attivano solo quando c'è da guadagnare qualcosa?)
Grazie alla tecnologia wiki, è sufficiente registrarsi sul sito per poter intervenite direttamente sul testo già presente e per aggiungere nuovi paragrafi. Per ora è solo un esperimento per sondare le potenzialità e i limiti della scrittura collaborativa in rete; ma la potenzialità è grande. Il romanzo inizia con due personaggi che all'apparenza non hanno nulla in comune, Carlo e il serial killer Tom Morose: in sole 24 ore dal lancio ufficiale, "A million penguins" è già arrivato al dodicesimo capitolo.
Tutto ciò non è un caso isolato. Anche lo scorso novembre è stato avviato, in collaborazione con il Mit, il progetto "We are smarter than me" : l'obiettivo è quello di realizzare un libro interamente basato sugli interventi di specialisti e studenti che operano nel campo delle nuove tecnologie.
Non è difficile comprendere come il Web sia in continua evoluzione. Continua a crescere il volume delle "pagine" on line, così come il numero dei cosiddetti internauti. Non a caso la rivista Times ha eletto Internet ed il suo "popolo" come personaggio dell'anno 2006. Libera circolazione di saperi, di conoscenze, di esperienze, di lavori, di divertimento. La Rete garantisce tutto questo, e senza scopi di lucro. Le distanze vengono abbattute, la collaborazione tra gli utenti su scala planetaria cresce a dismisura. Ma la cosa che più salta agli occhi è un'altra e cioè il manifestarsi, secondo la rivista Wired, di " un impulso collettivo alla partecipazione che ha comportato un rovesciamento importante nella sfera sociale, entro la quale si è incominciato a cooperare invece che concorrere, come la mente di un alveare". Cooperazione. La parola non gode di molta stima nella società attuale; si preferiscono di gran lunga termini e concetti come competizione, concorrenza, arrivismo, gavetta, che poi si traducono e manifestano in arrampicate sociali sulle spalle dei propri simili, con tutte le conseguenze del caso.

"Le fiere avevano il solo istinto della rivalità, mentre l'uomo era dotato di un istinto di cooperazione; per questo stabilì la sua supremazia su tutti gli altri animali. La lotta dell'organizzazione contro la concorrenza data da un migliaio di secoli, e sempre ha trionfato l'organizzazione. Coloro che si arruolano nel campo della concorrenza sono destinati a perire".
Jack London, Il tallone di ferro.
Links:

sabato 3 febbraio 2007

Pensieri a ridosso di un sabato pomeriggio qualunque

E così, anche il sabato (pomeriggio) è andato così...
Passato davanti al "fido" computer, cambiando e revisionando il progetto che mi porto sulle spalle oramai da due anni o quasi per motivi che non stiamo qui a ricordare...
Maledetto progetto, infinito. Trattasi di edificio con forti connotati bioclimatici, al cui interno si snodano e compenetrano spazi dedicati all'abitazione, al lavoro, al gioco ed allo svago...
dico subito che è un progetto alquanto insolito, pensato in particolar modo per i giovani lavoratori precari del settore terziario. Giovani che spesso non hanno nemmeno il tempo (oltre che la possibilità) di "metter su casa e famiglia". O non ci pensano proprio. Questo progetto non pretende di essere la soluzione al problema ovviamente. Però ci prova, diciamo che ne propone una. Ci prova, anche se incontra continui ostacoli nella sua evoluzione. Tipo il mio professore; uno mette tutta la sua pazienza per tentare, e dico tentare, di spiegargli che il progetto trova la sua ragione di esistere nel mondo del lavoro contemporaneo, ma quando uno non vuole capire c'è ben poco da fare.
Lavoro contemporaneo dicevo, lavoro che negli USA assorbe l'84% degli occupati, in Italia il 61%. Precario appunto, flessibile, che va oltre le rigide gabbie legali dei contratti collettivi, dello statuto dei lavoratori, delle canoniche 8 ore, supersfruttato e sottopagato, ma soprattutto basato su quelli che sono gli attuali motori della produzione: i cosiddetti saperi, conoscenze, linguaggi, comunicazione, general intellect... insomma, le più elementari facoltà del genere umano. Per capirci, su tutto questo si fonda la maggior parte della ricchezza prodotta a livello mondiale.
Detto questo, è facile capire che oramai il settore secondario (non parliamo nemmeno di quello primario) soprattutto nella sua componente artigianale è cosa d'altri tempi, o meglio, non è più la molla fondamentale della produzione della ricchezza.
E cosa fa il professore?? Cosa mi dice per venirmi incontro?
"Ma perchè invece di spazi per il lavoro "leggero", immateriale o giù di li, non metti dei piccoli laboratori artigianali, botteghe insomma... sai, potresti consultare tutti quei numerosi progetti degli anni 70 che appunto affrontavano il rapporto tra casa e lavoro"
Come se l'economia non si fosse evoluta, non fosse maturata rispetto a quegli anni! Come si fa a pretendere di realizzare un progetto contemporaneo su delle strutture economiche oramai inferiori se paragonate a quelle attuali?
......
Ogni altra parola è superflua.
Naturalmente il progetto continuerà. Naturalmente come dico io.
P.S.: scusate le sfogo.

venerdì 2 febbraio 2007

Storia di C. e della Montagna

I limiti fisici della morfologia terrestre sembrano non esistere per il Capitale, per la sua fame incontenibile di nuovi spazi da riempire. Preso dal panico per via dei terreni disponibili in lenta ma inesorabile decrescita quantitativa su cui costruire, edificare e speculare, ha pensato bene di farsi un giretto in alta montagna, per la precisione nei pressi di Zermatt, sulle Alpi svizzere, per respirare un po' d'aria pura e rinfrescarsi le idee. E proprio li, mentre passeggiava alle pendici del Piccolo Cervino, gli venne la mirabolante idea. Alzando lo sguardo in direzione della vetta esclamo': "Ma certo! Ecco dove potrei lasciare un altro segno del mio regno infinito su questa terra!". Senza perdere altro tempo, inculco' telepaticamente tale idea nelle teste dei suoi fedeli servitori umani che, bravi bravi, chiamarono a raccolta schiere di architetti, ingegneri e sottoposti (leggi geometri), sempre sensibili al fruscio delle banconote, figuriamoci se svizzere. (Ah, per chi non lo sapesse, il sottoscritto è diplomato geometra e futuro architetto, quindi nessun rancore, nessuna polemica). Dopo estenuanti nottate al p.c. e pasti frugali consumati tra cartoni di pizza, i fidi partorirono la loro opera: una grande piattaforma su cui svettera' una enorme torre pressurizzata, alta 117 metri, visibile da tutte le Alpi, dotata di ristorante, albergo, centro commerciale e servizi di ogni tipo, raggiungibile con una nuova potenziata ardita funivia. Yeah! Vai con lo spettacolo! Una torre che permetterebbe di spaziare sui ghiacciai sottostanti e che costruirebbe una nuova nicchia del turismo speculativo, fatta ad uso e consumo delle tante famigliole e turisti frettolosi ma ben paganti che naturalmente accorreranno a frotte, incredule di poter salire fino a lassu', a pochi metri dal loro dio, con le chiappe al caldo. Il progetto per ora e' solo su carta (e gia' questo basta a muovere denaro), ma non tardera' a materializzarsi concretamente sulla cima della montagna, come un fallo metallico padrone della scena, degna metafora della situazione. La montagna e la comunita' che da sempre la vive e rispetta l'ha proprio preso in culo. E il Capitale intanto, tronfio come non mai, se la ride.

Buio in sala, va in scena l'estinzione.

Londra, anno 2027. Una bomba esplode in pieno centro mandando in frantumi vetrine e corpi umani, mentre alla bbc passa la notizia della morte di Diego Ricardo, l'uomo più giovane della Terra. Aveva 18 anni, 4 mesi, 20 giorni, 16 ore e 8 minuti.
Inizia così Children of men - I figli degli uomini, il nuovo film di Alfonso Cuaròn, regista messicano già noto al pubblico per il cult Y tu mama tambien e Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice inglese P.D. James, racconta una storia apocalittica, catastrofista, avvincente e cruda, non troppo lontana dalla realtà, e comunque impossibile definire "fantascientifica" o "fantapolitica" per i temi che affronta e per la realtà quotidiana in cui si vive dopo l'11 settembre.
Il mondo è ormai giunto al punto di collasso; l'ambiente e l'intera biosfera distrutti; l'umanità è sul viale del tramonto, sta per estinguersi, da 18 anni non nascono più bambini e non si riesce a comprendere le cause dell'infertilità, dovuta forse a mutazioni genetiche prodotte dall'inquinamento; guerre, violenze e caos dilagano ovunque; consapevoli della fine imminente, c'è chi resta aggrappato alla propria vita e chi lotta con tutti i mezzi possibili per la libertà, per la nuova società, anche se priva di futuro. Solamente l'Inghilterra sembra sia riuscita a conservare una specie di "ordine", fondato sulla coercizione, sull'esercito nelle strade, sullo Stato che sa tutto, vede tutto e controlla tutto, sulla drastica limitazione delle libertà personali e su una ferrea politica xenofoba, in seguito alla quale tutti i profughi e i migranti che, scappando da fame e morte nei loro paesi d'origine, cercano di entrare nel Regno Unito vengono segregati in campi di concentramento, sorvegliati a vista coi cani e dito sul grilletto, rinchiusi in gabbie ed infine espulsi.
Una Londra sporca, grigia e asfissiante, che assomiglia di più a Beirut (o Bagdad, o Belgrado, o ...), assediata da militari, fanatici religiosi e gruppi eversivi armati, percorsa dalla voce anonima degli altoparlanti che invitano a denunciare gli immigrati e chiunque costituisca motivo d'allarme per lo status quo, fa da sfondo alla vicenda di Theo - Clive Owen, ex-attivista politico, ora burocrate di stato, coinvolto dalla sua vecchia compagna Julian - Julianne Moore nel salvataggio e nella protezione di una donna rimasta misteriosamente incinta che potrebbe portare un barlume di speranza (incerta) per la continuazione della Specie. Tra città dall’immagine post atomica, dovranno raggiungere la costa e consegnare la ragazza al Progetto Umano, una non meglio precisata organizzazione scientifica, evitando le pallottole dell' esercito ed il doppio gioco del gruppo armato dei "Pesci", che vorrebbe utilizzare la madre e il bambino a scopi propagandistici.
Il film, lontano dall’epica trionfante e dallo spettacolarismo che quasi sempre accompagna pellicole di questo genere, ruota attorno al personaggio del bravissimo Owen, classico anti eroe dal volto malinconico e triste, oramai privo di speranze, senza più nulla da perdere e con una tragedia alle spalle e molte incognite sul futuro. Sempre in scena, inseguito in continuazione dalla telecamera del regista che si muove sul set come se si trovasse sul campo di battaglia vero e proprio, eppure sempre sfuggente a pose e inquadrature da divo. Lo affianca un sempre grande Michael Caine, qui nel ruolo di un anziano ex ‘figlio dei fiori’ che con la sua compagna si è ritirato ed isolato in un mondo tutto suo. Vive nel passato, pur non rinunciando né ai suoi ideali né ai suoi princìpi, ma rappresenta l’inesorabile fuga individuale ed esistenziale da un presente troppo pesante per essere sopportato. Gli fa da opposto Julianne Moore, donna tutta d’un pezzo, con obiettivi ed idee chiare in testa, che sa quello che vuole e come ottenerlo, battendosi in prima linea.
Rimarranno memorabili, oltre che da applauso, i due piani-sequenza delle azioni di guerriglia, dove lo spettatore smette di essere tale per entrare a far parte della scena, anzi, a dirigerla e seguirla, come l’occhio di un reporter freelance o come, meglio ancora, il Kinoglaz, il cine-occhio vertoviano, l’occhio meccanico che osserva e registra la realtà per come essa si mostra. Per intenderci, si tratta di un'inquadratura piuttosto lunga, caratterizzata da un'ininterrotta continuità temporale, che svolge di per sé il ruolo di un'intera scena. Come la
profondità di campo, il piano sequenza rifiuta il montaggio sfruttando la moltiplicità dei piani all'interno della singola inquadratura e rispettando il tempo del mondo reale. E’ cinema che "si fa vedere senza farsi vedere". Nel piano sequenza il linguaggio del cinema trova compiutezza nella complessità del movimento della macchina da presa, la cui dinamica (o staticità) è già montaggio intrinseco, organizzazione del racconto, semplicità di costruzione estetico-narrativa e ricchezza compositiva di più scene-inquadrature che si fondono in un'unica scena-sequenza.
Completano il quadro le splendide location modificate con la computer grafica, in particolare quella della ex Battersea Power Station, ora galleria di arte Tate Modern, con citazione dei Pink Floyd, ed un’insolita colonna sonora che unisce passato e presente, King Crimson, Deep Purple, Donovan, John Lennon, Battiato, Kills, Libertines, e la colonna sonora originale di John Tavener.
In precedenza ho parlato di speranza incerta perché, in linea teorica, resta poi da vedere se la madre presenta qualche caratteristica genetica tale da essere "sfruttata" o "replicata" per sconfiggere la sterilità di miliardi di altre donne. Altrimenti la nascita del bimbo rimarrebbe un puro caso. Questa forse è l’unica debolezza di una sceneggiatura senza sbavature, che alterna momenti di pura tensione ed azione a sprazzi di ilarità ed umorismo inseriti nei momenti giusti. Cuaròn non ci dice come andrà a finire per il bambino e sua madre, e in fondo per lo spettatore non è così importante. Piuttosto, con mirabile regia, costruisce un film che parla al cuore, ma soprattuto alla testa, e ci costringe a riflettere su quello che oggi è il mondo e su come potrebbe essere tra non molti anni, se si continua a battere sempre sullo stesso tasto, se non si cambia rotta, se ci si lascia annientare dallo stesso nostro sistema che oramai, esaurita la forza dirompente che in passato aveva rivoluzionato il mondo, entrato nella sua fase terminale, è capace di portare, attraverso i suoi "prodotti" (che siano guerre nucleari o vecchie e nuove patologie tipiche del nostro tempo non fa differenza) davvero all'estinzione la nostra specie e non solo. Ci ha mostrato come per raccontare il più agghiacciante dei futuri basti enfatizzare e prolungare nel tempo i democratici scenari del nostro stato di cose attuale.
Dilaga la moda del blog!
E allora?
Allora niente...
...cosa dire, mi sono fatto prendere anch' io dalla smania di scrivere, di raccontare, di criticare e, perchè no, di cazzeggiare nel web, anzi, attraverso il web.
Quindi eccomi qua, pronto come sempre a rompervi i coglioni cari amici e compagni! E pronto - naturale - a prendere in faccia i vostri commenti di ritorno...
Ah, si, il blog... il mio blog. Che cosa conterrà? Mah, si vedrà, col tempo ed oltre...
Sicuramente politica e cinema! (Chi mi conosce bene lo aveva già intuito?)
E' uno spazio che conterrà ciò che mi piace. E questo tanto basta.
Ciao.
Alla prossima.
(Cioè fra poco, quando pubblicherò il mio primo e vero post)
"Il nostro motto dev'essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l'analisi della coscienza non chiara a sé stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa..." Karl Marx